FOCUS Trivelle nell’Adriatico: la battaglia è davvero finita?

ANCONA – Trivelle nell’Adriatico: ma siamo davvero sicuri di essere giunti al capolinea, e che dunque questo argomento non debba più essere affrontato? “Il 17 aprile votiamo sì al referendum sulle trivellazioni in Adriatico, per tutelare ambiente e democrazia, e promuovere al meglio le attività economiche che si sviluppano intorno alle nostre coste, a partire dal turismo”.

Così si esprimeva, qualche mese fa, il capogruppo regionale del Pd delle Marche, Gianluca Busilacchi, scendendo in campo in prima persona a sostegno delle ragioni dei comitati per il no alle trivelle nell’Adriatico, in dissenso con il suo partito, che a livello nazionale spingeva invece per l’astensione.

“La decisione di votare sì – spiegava Busilacchi – è stata oggetto anche dell’ultima riunione del Gruppo Pd, che ha confermato all’unanimità questa volontà. La scelta di ridare la parola ai cittadini su un tema di grande importanza per il futuro dei territori non può essere considerata un inutile orpello”.

Il Consiglio delle Marche aveva stanziato 40mila euro per una ‘corretta e capillare campagna informativa sul referendum, per spiegare i pro e i contro dell’attività estrattiva di fronte alle nostre coste. Sappiamo come è andata a finire: il referendum non ha raggiunto il quorum e tutto è dunque naufragato. Ma la battaglia anti trivelle, nella nostra regione come in tutti i territori che si affacciano sul mare Adriatico, potrebbe non essere ancora finita.

Ricordiamo che anche il governatore Luca Ceriscioli aveva manifestato pubblicamente l’intenzione di votare Sì al referendum sulle trivelle nell’Adriatico, sebbene fosse soddisfatto per il lavoro svolto sul tema ”dal Governo e dalle Regioni in questi mesi”. Nella Legge di stabilità 2016, aveva evidenziato Ceriscioli, l’esecutivo ”ha inserito diverse di quelle richieste che alcuni Consigli regionali, compreso quello delle Marche, avevano sollevato, dando risposta a cinque dei sei quesiti”.

Il referendum del 17 aprile riguardava “un solo quesito, la durata delle concessioni entro le 12 miglia, un tema residuo. Quest’ultimo elemento chiuderà la partita, ma il grosso mi sembra già definito. Con il referendum, dunque, si completerà un percorso. Per questo andrò a votare e voterò Sì”.

Nel sottolineare i risultati raggiunti nella trattativa fra le Regioni capofila dei referendum (Marche comprese) e il Governo, Ceriscioli ricordava che è vietato ”fare nuove trivellazioni nelle aree marine protette e nel raggio delle 12 miglia dalla costa, con il blocco di tutti i provvedimenti concessori dal primo gennaio 2016, anche quelli già avviati ma non ancora giunti a compimento”.

Tra le altre proposte accolte, figurano inoltre ”il declassamento delle attività di trivellazione (non più carattere strategico, di indifferibilità e urgenza), ma solo pubblica utilità; l’abrogazione della norma che consentiva al Governo di emanare il piano delle aree in cui sono consentite le attività di trivellazione, così Regioni e enti locali tornano ad avere voce in capitolo con la Conferenza unificata”. Scompare inoltre ”la possibilità di proroga della fase di ricerca degli idrocarburi (6 anni) e della fase di coltivazione (30 anni)”.

Tutte queste disposizioni ”hanno consentito il superamento di 5 dei 6 quesiti referendari presentati da alcuni Consigli regionali. Il quesito rimasto riguarda solo le trivellazioni già in essere e la durata delle loro concessioni”.  Il referendum sulla durata delle concessioni entro le 12 miglia era perciò ”un tema residuo”.

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