TORINO – Così l’ho ripreso e terminato in viaggio, “Guerrafesta”, il terzo componimento poetico di Falminia Colella. Il suo viaggio letto e intrapreso in viaggio sul treno che porta dalle Marche al Piemonte, Torino. Una guerra e una festa unite insieme non in antitesi, ma come a dire le due parti della realtà e della dimensione umana, l’inclinazione alla gioia e alla determinazione senza sosta pronta a lottare che si sviscera sincera nei versi. Così Guerrafesta intitola le pagine dense della poetessa. L’occhio attento, il cuore passionale che si infiamma di sogni, speranze, attese, l’amore che si declina con fervore e nutre i testi e la visione, la riflessione profonda argomentata, lotta e difesa, Roma e la Marsica abruzzese, i territori del cuore e della vita che si raccontano nei combattimenti del libro.
Non si tratta di una eroica battaglia che sottende alla quotidianità né ad una semplicistica ludica scena quella che si manifesta, ma una continua imperterrita ricerca del senso, dei segni posti anche nelle foto in bianco e nero ad avvallare, arricchire, sigillare, custodire, incorniciare. Si coglie un film rouge che collega l’avvicendarsi e si lancia come freccia verso il futuro con prudenza, ma incisività. Flaminia Colella scrive di sé ma si volge al lettore, al palcoscenico che la leggerà per instaurare una strada che sia colta, che sbocci e perlustri l’esistenza. Vuole sollevare dalla fatiscenza, dalla banalità che disdegna, dalla superficialità, dalla tensione orizzontale e porre lo sguardo suo e dell’altro al cielo, al mistero, alla verità. Non si arresta, non si bea e basta come non combatte solamente, si dona e si modella, scolpisce il focus come artigiana e incalza decisa.
Monica Baldini