Non è stato possibile fare quello che il ricordo porta all’anno precedente, tutt’altro famiglia, mura domestiche, affetti, semplicità, essenzialità, carità, relazioni solide.
Si è fatto con quello che si aveva a disposizione e non si è potuto andare a comprare altro divertimento se non ricorrendo a quello che la situazione permetteva.
Bell’impegno da tenere per vari giorni che ha recato anch’esso in serbo una sfida, un gap da colmare: fare con quello che si ha e coltivarlo come stare vicino ad una persona cara invece di fare un brindisi prolungato con conoscenti oppure passare del tempo nel proprio salotto con i bicchieri già visti e le solite pareti tinte piuttosto che restare in luoghi commerciali.
Rafforzare all’interno e rafforzarci nelle profondità che abbiamo dimenticato e che sono forse le più delicate. Mettersi in gioco come non avremmo pensato. Ascoltare quello che quella persona cara ha da dirci al posto di tanti scambi fugaci con quasi estranei.
Cosa ricordo di queste giornate? Un rituale come il thè del pomeriggio, i pranzi a tavola riuniti, le acquasantiere sul muro belle e dolci, lo sguardo che si posa, il cuore che batte, si angustia e poi risale, la passeggiata, il confrontarsi su tanti punti che nonostante la staticità contingente si aprono, le letture, il pc aperto.
E poi il cibo e le piccole gratitudini che diventano grandi setacciando come farina preziosa quello che scivola nelle ore.
Non è immediato ma è meraviglioso come ci si possa amplificare se si fa attenzione a quello che si guarda o si ascolta e con quello forzatamente si vive.
Poi dal 7 gennaio si torna a riprendere il ritmo semi normale e in un attimo con un balzo sonoro si trascende il contesto bianco del cielo glaciale di gennaio, si vola su un aereo, amato, verso lidi caldi e si attinge carica con visioni altre.
Vola alto il sogno sempre.
Al semaforo ferma e si riparte e la bellezza di un momento si alterna all’altro, entrambi lenti e batticuore di una conoscenza con sé stessi maggiore, entrambi sostenitori di una realizzazione piena, vettori d’una esistenza che non comandiamo e con cui ci formiamo.
Come diceva Nelson Mandela: “La pace non è un sogno: può diventare realtà; ma per custodirla bisogna essere capaci di sognare.”
Il contesto ci rende santi facendo i conti con quello che c’è dice Don Luigi Maria Epicoco; con quello che abbiamo a disposizione, viviamo e sogniamo perciò per costruire mete alte e ambiziose.
Buon inizio nuovo d’anno!
Monica Baldini
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