FANO – Nell’appuntamento di febbraio lo storico dell’arte Tomaso Montanari farà il punto sul patrimonio culturale italiano, sulla sua valorizzazione e privatizzazione. È intitolato “Patrimonio. In difesa della cultura” il terzo appuntamento della rassegna “Con le parole giuste – le parole della giustizia nella filosofia, nella letteratura, nella società”, organizzata dal Comune di Fano (Assessorato alle Biblioteche e alla Legalità Democratica, Mediateca Montanari, Biblioteca Federiciana) e dalla Fondazione Federiciana in collaborazione con l’Associazione Nazionale Magistrati – sezione Marche.
Mercoledì 14 febbraio alle ore 17.00, la Mediateca Montanari di Fano ospiterà Tomaso Montanari, storico dell’arte e docente universitario, per un incontro sullo stato dei beni culturali nel nostro Paese, introdotto da Cecilia Prete, ricercatrice di storia dell’arte.
Il 2018 è l’Anno europeo del patrimonio culturale, istituito dalla Commissione Europea per sensibilizzare all’importanza di monumenti, siti, musei, biblioteche, archivi, paesaggi, conoscenze, espressioni della creatività umana, e per avvicinare i cittadini, soprattutto i più giovani, alla ricca diversità culturale che l’Italia e gli altri Paesi europei hanno da offrire.
La tutela del patrimonio storico, artistico e ambientale della nazione e lo sviluppo della cultura rientrano peraltro tra i principi fondamentali della Costituzione Italiana, all’articolo 9, poiché sono finalizzati all’arricchimento degli individui e alla crescita culturale della società. Le politiche culturali attuate negli ultimi trent’anni sembrano però andare nella direzione opposta e a questo proposito Tomaso Montanari nel 2015 ha pubblicato per Einaudi Privati del patrimonio: secondo l’autore tutti i ministri, con rare eccezioni, sono andati verso l’affidamento a terzi, svendendo il patrimonio e facendo in modo di privatizzare più che valorizzare quello che appartiene a tutti i cittadini per eredità storica.
Scrive infatti Montanari nella premessa: “Il patrimonio ci fa nazione non per via di sangue, ma per via di cultura e, per così dire, iure soli: cioè attraverso l’appartenenza reciproca tra cittadini e territorio antropizzato. Perché questo altissimo progetto si attui è necessario, però, che il patrimonio culturale rimanga un luogo terzo, cioè un luogo sottratto alle leggi del mercato. Il patrimonio culturale non può essere messo al servizio del denaro perché è un luogo dei diritti fondamentali della persona. E perché deve produrre cittadini: non clienti, spettatori o sudditi”.