«L’addio al calcio di Francesco Totti è stata letteralmente una liturgia (etimologicamente, “Λειτουργία – un’azione per il popolo”), dove a essere messa in scena era proprio la fuga dalla libertà – spiega il filosofo – la libertà di giocare al calcio come un tempo, nel tempo. Si tratta tuttavia – continua Patriarca – di una fuga deliberata che si trasfigura simbolicamente in addio, atto conclusivo di un percorso esistenziale, umano e sportivo unico nel suo genere».
Ma quali sono i momenti di questa liturgia che si svolge davanti al popolo e insieme al popolo romanista in primis?
«Il primo momento – spiega Patriarca – è quello che fa di Totti l’incarnazione vivente di quella nostalgia platonica che l’essere umano si porta dentro. Totti è il romanista che ha conosciuto solo la Roma. Ha scelto la Roma. È stato la Roma. L’inizio era già il suo destino. La sua carriera è stato il completamento di ciò che era. Perciò per gli esterni, per gli altri tifosi, per i non appassionati di calcio, rappresenta qualcosa di straordinario. È il loro platonismo inconsapevole a guidarli, non la passione per il calcio. Il secondo momento – continua – è quello che vede la fiducia come fondamento. “La Roma è una fede, non si discute, si ama”. Cosa diciamo concretamente quando attribuiamo questa dimensione fideistica? Facciamo un atto di fiducia. Un atto che si fonda solo sul passato che non conosce presente e futuro. E non conosce timore di smentita. Fidarsi è rimandare a una dimensione che è stata, che dà sicurezza, che garantisce e lega contro le apparenze. Totti è la Roma in quanto è la fiducia nei confronti della Roma. In questo Totti è la quintessenza del fedele: è stato sempre romanista, perché ha avuto fiducia nella Roma all’inizio, nella scelta. E lo è stato contro le apparenze. E questa dimensione teologica è il fondamento del riconoscimento dei tifoso: Totti non è un giocatore della Roma, Totti è la Roma, in quanto è romanista e da romanista ha fede nella Roma. In lui e attraverso lui i romanisti, e gli altri tifosi, vedono confermata la validità della scelta fideistica, la possibilità che essa possa essere concretamente nel mondo.
E infine il terzo momento, quello che prevede il tempo del sacrificio. Il figlio prediletto è chiamato all’addio. Il sacrificio, l’addio, è il compimento liturgico del percorso. Liturgico, perché accade davanti al popolo. È questa forse la dimensione più interessante: la rappresentazione dell’addio come un atto vitale. Gli addii sono fatti mortali ormai, che negato ogni dimensione vitale. A livello simbolico (sia religioso sia sociale) tuttavia gli addii sacrificali sono qualcosa di produttivo, che genera memoria, che garantisce l’appartenenza. L’addio di Totti è questo: è un addio vitale. È la fine di un percorso immacolato. È la fine inevitabile dal sogno concettuale dove la libertà coincideva con la necessità. Si celebra tale fine come momento catartico (fuga dallo spazio simbolico dello sport per ritrarsi in quello reale del vivere comune), come garanzia (possibile) che la realtà – conclude – non sia soltanto reale, ma continui a contenere in sé l’inserzione improvvisa del talento unico che realizza se stesso».
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