Sull’arrivare della sera, con quei colori che si porta dietro offuscati che scaldano prima e poi adombrano i confini, la serata è così tramontata fuori Marche e il calore di un giallo che diviene luminoso e aranciato con il trascorrere delle ore e poi violaceo e scuro e nero ha disegnato altrove le vette e i profili.
Quante storie quelle case oscurate, quelle stradine, quei palazzi e quelle colline potrebbero raccontarci, pensavo mentre guardavo veloce sull’A14.
Dal finestrino, dietro il vetro della realtà che la mette a fuoco con l’arazzo di un ricamo o di un quadro che si compone viaggiando, m’ergeva come la venatura di una società, di un pezzetto di Italia, di una civiltà, delle sue voci, usi e costumi, dei suoi dolori e delle sue amarezze, dei suoi momenti.
Quante cose serberanno quei tratti, quante emozioni, quante storie, mi tornava reiterata in mente la parola.
Le storie, quante, intrappolate, chiuse e disgelate ora appena lievemente da giugno. Quante ne potrebbero tramandare e custodire già storia, oggi.
Ognuno ne ha una così ogni città, ogni individuo e ogni tempo di umanità e vedere dopo tre mesi quei soliti ed insoliti al contempo lineamenti, m’ha destato la più chiara presa di coscienza che sia iniziata una fase diversa e che la realtà possa essere lambita anche solo da uno sguardo.
La narrazione estrapola la sensazione del vivere attraverso epoche e vicende, la parola si fa portavoce e consegna a noi e al domani, il senso del presente che passa e va.
La vita s’impone, si rannicchia negli anfratti e si svela da angolatura impreviste che declamano la sua potenza e la sua bellezza.
Così mi si è svelato, nei segni, negli squarci filmati e posati di un’aria ferma, quella sera.
La sera in cui il cielo era sereno, illuminato fiocamente da una tensione di ripresa, di rinascita, di recupero delle forze come dopo una ondata che s’era abbattuta impetuosa.
Il mattino dopo, quel languore che s’affabulava di un annottarsi lieve, mi s’era radicato lasciandomi un senso di appartenenza e maggiore comprensione che tutt’ora non svanisce, né diparte.
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