JESI – «Sono di Ancona e vengo dal canottaggio. Ma rugbisticamente sono jesino al 100%». Così Lorenzo Cappuccini, pilone della Seniores del Rugby Jesi ’70, condensa la sua storia sportiva. Una storia in stand by a causa della pandemia, come tutto il movimento e come tutta la squadra leoncella, in attesa di sapere se e quando il sospirato campionato di Serie B potrà cominciare. «Certo è una situazione strana- spiega il giocatore- nella piena incertezza, non è semplice mantenere le motivazioni. Ma noi stiamo reggendo».
La sfida è riuscire a mantenere quel clima di attesa e ambizioni nel quale l’annata era partita. «Il nuovo allenatore, Alessandro Speziali, ha portato un entusiasmo nuovo. Anche se Mariano Fagioli, che è rimasto con noi, aveva certo fatto un buon lavoro, portandoci e facendoci restare in B. Ma cambiare ogni tanto è utile, porta stimoli. E Speziali è un bravissimo tecnico, che sa coinvolgere tutti i ragazzi e i senatori e al tempo stesso responsabilizzare chi sale dalle giovanili e affronta un grosso salto: dalla Under 18 ad una squadra di B che vuole arrivare a lottare per andare in A, categoria che poi sarà in futuro la loro. Un compito non solo tecnico ma anche e soprattutto mentale».
Ci si è trovati però a dover rallentare: «Lo stop ci ha inevitabilmente destabilizzati, proprio quando avevamo aumentato ritmo e livello degli allenamenti. L’assoluta incertezza non aiuta. Ma teniamo duro e i numeri, anche se non sono e non possono essere quelli di qualche tempo fa, restano buoni».
«Dal punto di vista mentale e fisico– spiega Cappuccini- non è una condizione facile da affrontare. Facciamo lavoro atletico e individuale, senza contatto. Quindi, di rugby vero e proprio, non c’è ormai nulla. Ma questo possiamo e dobbiamo fare. Sportivamente fa male. Specie per chi affronta in un certo senso quelle che saranno le sue ultime stagioni da atleta: ho 34 anni e da quando gioco, oramai quasi vent’anni, non sono mai stato tanto lontano dal rugby. Ma comprendiamo bene quella che è tutta la situazione che ci circonda e che non è possibile fare altrimenti».
Ricorda Cappuccini. «Vedendo in tv una partita di quello che credo fosse ancora il Cinque Nazioni, decisi di cambiare e passare dal canottaggio al rugby. L’unica squadra in zona era proprio Jesi. E così era mia madre, dato che io non avevo ancora la patente, a dovermi accompagnare agli allenamenti. Sono sempre rimasto qui, poi. A parte una parentesi, da capitano, ad Ancona una volta nata la società. Ma rugbisticamente sono jesino al 100%, qui c’è il cuore e ci sono la società e i compagni ai quali dare una mano. Quelli con cui ho iniziato e che, più grandi di me, in prima squadra mi hanno praticamente cresciuto, ora sono diventati allenatori oppure hanno figli che adesso giocano con me. Una specie di catena che, certo, ti dà l’idea del tempo che passa, ma che è una cosa bella».
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