Conversa con lo Scrittore il giornalista Roberto Rotili.
Paolo Del Debbio è nato a Lucca nel 1958, è giornalista, conduttore televisivo e docente universitario. Laureato in filosofia, nel 1988 entra in Fininvest come assistente dell’ad Fedele Confalonieri.
Dal 2006 è conduttore televisivo sulle reti Mediaset, prima del programma Secondo voi, poi di Mattino 5 (con Federica Panicucci), Quinta colonna e, dal marzo 2019, Diritto e rovescio.
È autore di varie opere, tra le quali Elogio dello Stato a pendolo. Stato e mercato nel XXI secolo (2009) e L’etica fiscale ed economica di EzioVanoni (2019). Insegna Etica ed Economia allo IULM di Milano.
IL LIBRO
L’incertezza di una generazione
Nell’epoca dell’incertezza, tra i giovani serpeggia un grande malessere, mascherato da benessere. Un segnale chiarissimo è la dipendenza digitale: l’abuso dello smartphone può portare a disturbi del sonno, a stati di panico e di ansia, a isolarsi dagli amici, dalla famiglia e da ogni attività sociale o sportiva. Una vera e propria malattia che in Italia coinvolge ormai un adolescente su dieci. Paolo Del Debbio ci invita ad aprire gli occhi. Ci racconta le storie di ragazzi la cui esistenza virtuale è arrivata a confondersi con quella reale e ci insegna a riconoscere i campanelli d’allarme della dipendenza.
Anche senza contare i casi patologici, troppo spesso la vita dei “nativi digitali” è tanto ricca di stimoli social quanto apatica, priva di slanci e di interessi reali: un viaggio senza meta e senza bussola. Precarietà del lavoro e mancata indipendenza economica si sommano alla crisi di valori fondanti come quelli cristiani o delle grandi ideologie politiche. E se la Rete finisce per sostituire le tradizionali fonti di approvvigionamento culturale e sociale, il rischio più grande è quello di allevare generazioni deboli nelle capacità di scelta, privata e pubblica.
Non è un fenomeno inesorabile, ma i divieti e i rimproveri non servono a contrastarlo. Dobbiamo invece sforzarci di far immergere i nostri figli nella vita vera, perché crescano a contatto con la strada, la natura e la gente in carne e ossa, non con le foto “filtrate” su Instagram; perché sentano la pelle d’oca dell’empatia profonda, non le emozioni artefatte dei social network. Più liti vere e più riappacificazioni vere, più amori folgoranti, più successi e più smacchi. Una volta provata la bellezza della vita, persino le sue inevitabili asperità la renderanno preferibile alla sua copia virtuale, povera e sbiadita.
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